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Wednesday, June 8, 2011

Crimi's career

Il 3 marzo 1980 nel Ridotto del Teatro Massimo Bellini di Catania ha avuto luogo la cerimonia per l'attribuzione del Premio «Applauso d'oro», che in questa sua terza edizione è stato patrocinato dall'Amministrazione comunale di Catania e dall'Ente provinciale per il turismo etneo con la parte organizzativa affidata a «Il nostro giornale» organo degli artisti lirici italiani. Per decisione della Commissione giudicatrice, della quale facevano parte i cantanti lirici Ferruccio Tagliavini e Gino Bechi, Mario Del Monaco e Giuseppe Di Stefano, Ivo Mantovani e Gianni Savio, il baritono Giuseppe Zecchillo nella sua qualità di Segretario nazionale del Sindacato artisti lirici italiani, i registi Beppe De Tommasi e Paolo Zennaro, il Premio «Applauso d'oro» è stato attribuito alla memoria al tenore paternese Giulio Crimi.

Questa la scheda-ricordo compilata per quell'occasione dal giornalista e docente di Storia dello spettacolo al Corso biennale di avviamento scenico del Teatro Stabile di Catania Giuliano Consoli.

La motivazione del Premio «Applauso d'oro 1980» alla memoria di Giulio Crimi delinea chiaramente la validità dell'incidenza che quest'artista ha avuto nel teatro musicale. Volendo però, sia pure nei limiti di una semplice scheda di ricordo, ampliare il panorama della sua biografia e delle sue presenze canore sui più prestigiosi palcoscenici del mondo, richiameremo alla nostra memoria che Giulio Crimi, nato a Paternò, nella provincia etnea, il 10 maggio del 1885, studiò canto a Catania sotto la guida del maestro Matteo Adernò, ricevendo quindi il suo battesimo d'arte, ventisettenne, nel 1912, al Teatro Sociale di Treviso nella «Wally» di Catalani, passando subito dopo al Filarmonico veronese ed al Teatro Massimo di Palermo dove venne particolarmente applaudito nella «Fanciulla del West» e nella «Manon Lescaut».

Si comincia così a delineare quella che sarà la caratteristica più interessante della sua personalità artistica: la molteplicità espressiva — potremmo anche dire la polivalenza — di una capacità canora che va sempre più arricchendosi attraverso il costante studio musicale. Appena un anno dopo il suo debutto egli venne infatti chiamato a Milano per l'«Isabeau» di Mascagni nell'edizione diretta da Panizza, per la «Carmen» e per «L'amore dei tre Re» di Montemezzi. A proposito di quest'ultima opera ci pare sintomatico che dopo il ritiro dalle scene di Giulio Crimi sia del tutto scomparsa dai cartelloni lirici, così come significativo in senso positivo è il fatto che fu proprio quest'opera di Montemezzi a portare il nostro tenore nel 1914 al Covent Gardner di Londra e poi a Parigi.

Due anni dopo, mentre l'Europa avvampava per le cannonate della prima guerra mondiale, la Scala lo volle sul suo palcoscenico per «La battaglia di Legnano» diretta da Marinuzzi con Rosa Raisa interprete femminile. Si trattò, vale la pena ricordare, di un successo particolarmente significativo non solo per la sua significazione cronologica ma soprattutto per il fatto che Crimi era appena tornato dal Teatro Real di Madrid dove aveva trionfato in opere tanto diverse come la «Cavalleria rusticana» ed il "Mefistofele", le prime due opere liriche di una triade che ben presto egli avrebbe completata con l'interpretazione della novità, in prima esecuzione assoluta, della «Paolo e Francesca» del compositore orvietano Luigi Mancinelli che precedette di poco la «Francesca da Rimini» di Riccardo Zandonai della quale Giulio Crimi fu il primo interprete acclamato ed apprezzato non solo per lo sfoggio di smalto vocale ma anche per l'istintiva eleganza scenica.

Assieme a Rosa Raisa egli venne quindi chiamato dal Colon di Buenos Aires per un'«Aida» alla quale seguirono «Andrea Chenier» e «Pagliacci», mentre Chicago lo volle per «Traviata» nella quale fu in scena con la Galli Curci.

Proseguendo nel suo itinerario artistico troviamo quindi il nome di Crimi nel cartellone della stessa Chicago per «Gli Ugolotti» e per la «Lucia di Lammer-moor», così come nel 1918 egli arriva al Metropolitan di New York per una stagione nel corso della quale alternò la «Tosca» con l'«Aida» e la «Boheme» con la «Carmen», opere alle quali fecero seguito, sulla scena dello stesso Metropolitan, il "Tabarro" ed il "Gianni Schicchi" nella prima rappresentazione assoluta con la Muzio e Montesanto.

Nel suo già vasto repertorio entrò quindi il «Trovatore» e — siamo al 1920 — la prima rappresentazione della «Zazà» di Mascagni. L'anno successivo, restituendosi alla musica pucciniana, Giulio Crimi sarà quindi in scena per «Madama Butterly» e, tornato in Argentina, per «La forza del destino». Due stagioni dopo arriveranno inoltre la «Loreley» ed, al Teatro Costanzi di Roma (non ancora Reale dell'Opera) «L'Africana» di Meyer-beer.

Troppo evidente per avere bisogno di specifiche sottolineature che l'apertura angolare del repertorio di Giulio Crimi fu eccezionalmente ampia. Merita però, riteniamo, un richiamo alle sue interpretazioni così come venne rilevato dai resoconti giornalistici del suo tempo. Oltre ad essere un cantante mai stanco di scavare ed approfondire lo studio musicale delle opere da lui portate sulla scena, Giulio Crimi curò sempre di dotare ogni personaggio interpretato di un'impronta singolare che non ricalcò mai il già percorso.

Il che egli fece ripudiando evidentemente convenzioni ed orpellame, sovrastrutture e comode staticità. Ritenne insomma che l'importante era essere un interprete che si esprime con il canto più che un cantante puro e semplice esecutore d'opere. Il suo verismo e la sua vena istintivamente naturalistica, nell'epoca in cui Mascagni e Leoncavallo si affacciavano al successo, fu comunque sempre rapportato ad una ricerca interiorizzata che gli consentì di dominare sulla scena anche con la passionalità ma non solamente sul filo dell'emotività epidermica.

Ecco perché egli usò spesso come mezzo di transfert espressivo la mimica ed il gesto sempre calibrato in funzione dell'azione particolare che il momento scenico richiedeva. Ai suoi personaggi, insomma, Giulio Crimi non impose mai né il lacrimevole né il trionfalismo falso-eroico ad ogni costo. L'esempio più tipico di questa sua interpretazione intelligente e sensibile i critici ritennero di doversi rintracciare; per esempio, nel Miserere del «Trovatore».

A quanto ci è dato sapere, i catanesi, applaudirono senza riserve e con entusiasmo Giulio Crimi in una stagione lirica allo aperto, ovviamente estiva, per dieci recite di «Carmen» nel 1922. La sua ultima presenza scenica è stata registrata nel 1926 con un «Andrea Chenier» al San Carlo di Napoli. Fu un brusco arresto di carriera proprio nel pieno della sua maturità artistica.

A provocarlo fu forse la stessa eccessiva generosità con la quale aveva prodigata la sua voce, la prodigalità che l'aveva portato ai più clamorosi successi. La causa fisica fu però certamente un'emorragia, provocata da ipertensione, all'orecchio sinistro. Stabilitosi a Roma, Crimi iniziò così un'attività didattica nella quale riversò il meglio e quanto di più valido potè ricavare dalla sua notevole esperienza. Trasferì insomma ad altri la sua capacità di comunicare le emozioni e di usare sapientemente ogni forza intellettiva per meglio calibrare e vivificare quelle vocali. Fra i suoi allievi si ricordano peraltro cantanti che fecero carriera avendo precisi e riconoscibili caratteristiche fra i quali Gino Del Signore e Tito Gobbi. Scomparve nell'ottobre del 1939 a soli cinquantaquattro anni lasciandosi alle spalle il ricordo di un prestigio e di un'eleganza scenica veramente eccezionali, così come indiscussi furono la sua serietà professionale e la sua passione. Avendo all'attivo un'attività artistica ricca di vampate d'entusiasmo, Giulio Crimi a buon diritto può essere considerato l'antesignano di una generazione artistica che, dopo di lui, avrebbe sviluppato certi suoi modi «d'essere artista» per i quali egli merita oggi d'essere ricordato ed onorato anche volendo prescindere dal naturale orgoglio di campanile che potrebbe animare queste nostre parole.

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